Scritto da
Franco Tagliarini07 Febbraio 2012
Il professor Ferdinando Milone ( Napoli 1896 – Roma 1987 ), illustre
geografo, docente nelle Università di Napoli e Roma, Socio Nazionale
dell’Accademia dei Lincei, autore di numerosi libri ancor oggi di
capitale importanza per gli studi di geografia economica, pubblicò nel
numero del marzo 1942 della rivista del Touring Club Italiano “Le Vie
d’Italia” un importante saggio dal titolo: “Gli Albanesi e l’Albania”.
Ritengo utile riportare una sintesi dell’articolo, che certamente non è
facilmente reperibile nelle biblioteche italiane né, ritengo, in quelle
albanesi.
L’autore afferma, all’inizio del saggio:
«Nella Balcania, groviglio di paesi e di genti, non sempre le forme fisiche permettono distinzione netta tra l’una e l’altra regione,né le singole nazionalità risultano così spiccate da consentire una divisione tra loro. Territori di transizione da una regione all’altra, abitati da popolazioni miste pei lunghi secoli di storia comune, dovranno necessariamente, più di una volta, essere assegnati a questo o a quello Stato politico.
Con un po’ di buona volontà, molta rettitudine e studio obiettivo dei fatti, sarà possibile, però, anche in questa intricata grande regione fisica ed umana, venire ad una sistemazione equa e duratura».
Quindi Ferdinando Milone passa a considerare il nuovo Stato albanese.
«Innanzi tutto – si chiede – esiste una nazionalità albanese? ».
Un Albanese autentico, il Ministro Ernest Koliqi - (Scutari, 20 maggio 1903 – Roma, 15 gennaio 1975) - scrittore e poeta albanese, nonché Ministro della Pubblica Istruzione in Albania dal 1939 al 1942 – nello sguardo d’insieme che apre la bella guida dell’Albania edita dalla Consociazione Turistica Italiana nel 1940 – fa due importanti affermazioni:
“le diverse vicissitudini storiche, attraverso le quali è passata la razza albanese, le hanno dato una fisionomia particolare, varia e curiosa, che la fanno apparire un vero mosaico di religioni, di usi e di costumi disparatissimi”.
E più oltre nota: ”Se domandi alla gente del contado o della città, della piana o del monte, del nord o del sud, dell’acquitrino o dell’altopiano: «Chi sei?» udrai sempre risponderti con fierezza orgogliosa: «Jam Shqipëtar», sono albanese”.
Ha ragione il Koliqi, afferma Milone: più ci fermiamo in Albania, più la studiamo ed impariamo a conoscere questa terra così interessante e questo popolo così buono e leale, e più terra e popolo ci appaiono diversi da regione a regione, da gente a gente, da fis a fis.
E continua:
«Ma se consideriamo la struttura fisica della Balcania e teniamo presente quale intricato groviglio di terreni geologici e forme del suolo, di climi e di popoli offra questa grande penisola, ci verrà fatto di scorgere una regione fisica albanese abbastanza distinta dalle altre vicine, anche se spezzettata in diverse unità minori, relativamente facili ad includersi o ad escludersi. E, assai di più, ci sarà dato di osservare come esista, senza alcun dubbio, una nazionalità albanese, che va onestamente riconosciuta e rispettata.
La frammentazione della regione fisica avrebbe potuto portare alla formazione di altrettanti regionalismi. Ed è mirabile, nonostante la dominazione turca, che non si sia spento ogni sentimento nazionale in questo popolo di pastori e di boscaioli, il quale – nei lunghi secoli del dominio straniero – non ebbe una sua storia che non fosse fatta di audaci ribellioni e di cruente repressioni. La fiamma del sentimento nazionale è rimasta viva in questo popolo tanto che, nel 1878, dopo il Congresso di Berlino, si costituiva la Lega Centrale per la difesa della nazionalità schipetara, che chiedeva l’autonomia dello Stato albanese, con capitale Okrida, contro lo smembramento del territorio albanese a favore della Serbia, del Montenegro e della Grecia».
Milone ricorda nel suo articolo che l’Italia anche nei secoli passati riconobbe la nazionalità albanese, offrendo aiuto a Skanderbeg nella sua lotta veramente epica e accogliendo i profughi albanesi nelle nostre terre, dove hanno liberamente vissuto conservando la propria religione, la propria lingua e i propri costumi, legati alla patria adottiva non meno che a quella di origine.
L’indipendenza dell’Albania chiedevano le sinistre italiane e nel 1904 si costituiva a Roma un Comitato Italo-albanese per preparare l’avvenire dell’Albania come nazione.
Poco dopo si costituiva un Consiglio Albanese d’Italia per coordinare l’azione degli albanesi italiani e collegarla a quella a quella delle altre associazioni sparse per il mondo e a quelle degli Albanesi d’Albania.
Infine, nel 1911, quando già gli Albanesi erano in rivolta, si forma a Roma un Comitato parlamentare per l’Albania, che raccoglie oltre 60 deputati di ogni colore politico; si organizza una legione per far causa comune con i fratelli dell’opposta sponda e si costituisce a Torino un Comitato di soccorso per raccogliere vesti e denaro a favore degli insorti.
Fu l’Italia a proclamare, insieme con l’Austria, la santità dei diritti degli Albanesi, nella Conferenza degli Ambasciatori tenutasi a Londra l’anno successivo, riuscendo a far trionfare, finalmente, la loro giusta causa; e l’Italia per prima si dolse se al nuovo Stato non furono, invece, riconosciute regioni che fisicamente ed etnicamente avrebbero dovuto ad esso venire assegnate.
Nel 1915, Sonnino proclamava alla Camera: «La presenza della nostra bandiera sull’opposta sponda adriatica gioverà pure a riaffermare la tradizionale politica dell’Italia nei riguardi dell’Albania, la quale rappresenta, ora come in passato, un interesse di prim’ordine per noi, in quanto la sua sorte è intimamente legata all’assetto dell’Adriatico. Ha importanza grandissima per l’Italia il mantenimento dell’indipendenza del popolo albanese, la cui spiccata e antica nazionalità fu invano, per scopi interessati, discussa e negata».
Il grande studioso passa ora a un diverso argomento: «Chi sono gli albanesi?»
Tralasciando, egli scrive, le varie ipotesi degli antropologi sulla precisa origine del popolo albanese, è certo notevole che, pure attraverso tante vicissitudini, si sia conservato un fondo etnico comune facilmente riconoscibile.
«Ciò che agli occhi nostri – scrive Milone riportando quanto affermato circa ottanta anni prima da Domenico Comparetti ( Roma 1855- Firenze 1927 – tra i massimi filologi del suo tempo, professore di letteratura greca nelle Università di Pisa, Firenze e Roma) di più di ogni altra cosa qualifica il popolo albanese è la lingua che essi parlano. Questa è che, conservandosi mirabilmente, ad onta delle cause forti e molteplici che si opponevano alla sua esistenza, ha impedito che quel popolo si perdesse, come di molti avvenne, andando a confondersi nel seno di altri popoli prevalenti su di lui. E’ l’albanese un altro esempio della lingua considerata come potente elemento conservatore di nazionalità, anche allora quando le nazioni, politicamente considerate, abbiano perduto la loro nazionalità e la loro indipendenza».
I linguisti non sono tutti d’accordo circa l’origine e l’autonomia della lingua albanese. Secondo i più deriverebbe dall’antico illirico; secondo altri sarebbe continuazione del trace e non dell’illirico. Certo è una lingua che ha subito forti influssi esterni e tra questi il maggiore è stato quello derivatole dal latino. Né mancano parole derivate dal greco antico, ma assai più frequenti sono quelle derivate dal medio greco, limitate però al dialetto tosco.
Notevole pure è l’influenza slava e quella turca, mentre non è trascurabile l’influsso delle altre lingue balcaniche.
Così conclude Milone: «La lingua albanese, pur così arricchita e modificata, conserva la sua forza e costituisce oggi il più saldo vincolo nazionale».
Né il popolo albanese appare diviso dalla diversa religione. Soggetto alle influenze di Roma e di Bisanzio, dominato per oltre quattro secoli dall’invasore mussulmano, questo popolo appare distinto nella pratica di tre grandi culti: il cattolico, l’ortodosso e l’islamico. Ma la triplicità delle religioni non vale a dividere la sua unità. La forte maggioranza maomettana convive, in semplicità di vita e piena tolleranza, con ortodossi e cattolici.
San Paolo e i missionari latini vi importarono il Cristianesimo, che riuscirono specialmente ad introdurre nelle regioni centro-settentrionali dell’Albania. Nelle regioni centro-meridionali l’introdussero, invece, i Bizantini, che vi avevano più frequenti contatti. Allorché si determinò lo scisma religioso del secolo XIII, queste regioni vi aderirono, convertendosi all’ortodossia, mentre il settentrione si mantenne legato alla Chiesa di Roma. Nel secolo XV, con la conquista turca, si diffuse in tutta l’Albania la religione di Maometto.
E’ evidente che, a voler individuare quale sia realmente la nazione albanese, l’elemento più significativo di distinzione è quello linguistico. Del resto la fedeltà alla propria lingua, per un popolo che fu per tanti anni soggetto al dominio straniero, è indubbiamente il miglior documento del suo carattere nazionale.
Non sarà quindi difficile – una volta riconosciuta la nazione albanese dall’elemento linguistico – delimitare i confini che dovrebbe avere lo Stato albanese. Malauguratamente non riesce – afferma l’Autore – neppur facile affermare da quanti individui si parli ancora l’albanese nella regione balcanica. Il governo ottomano si accontentava di semplici stime a carattere fiscale e distingueva i sudditi per religione e non per lingua.
Una pubblicazione ufficiale del Governo inglese, edita nel 1922, faceva oscillare il numero degli Albanesi tra uno e mezzo e due milioni di individui. Ma, della popolazione albanese, soltanto una metà, e forse meno, viveva entro i confini del Regno d’Albania; l’altra metà costituiva minoranze non trascurabili degli Stati confinanti: la Jugoslavia e la Grecia.
Le statistiche ufficiali jugoslave facevano ascendere a 442.000 il numero degli Albanesi inglobati entro i confini del Regno jugoslavo: secondo le fonti ufficiali jugoslave, la minoranza albanese nello Stato sarebbe stata pari ad una metà almeno della popolazione del Regno d’Albania. In realtà, gli Albanesi erano almeno il doppio della cifra denunciata, e cioè assai più di tre quarti della popolazione rimasta nel Regno d’Albania.
«Nel 1919 – scrive Milone - fu pubblicata una carta etnografica della penisola balcanica. Nel Montenegro, la regione tra Antivari e il vecchio confine è abitata da popolazione albanese pressoché compatta, la quale cingeva il lago di Scutari, occupava tutta la regione tra il Cem e la media e bassa Moraca, dove i pastori della tribù dei Klementi conducevano le pecore a svernare. Da Albanesi in massa compatta sono abitati gli alti bacini del Lim, dell’Ibar e del Drini Bianco, dove gli Albanesi si spingono sino ai monti di Krusceviza ed ai Mokra, giungendo sino ai vecchi confini fra Montenegro e Serbia.
All’Albania – secondo il Kettler – avrebbero dovuto essere riconosciuti quasi tutto il lago di Scutari e la regione di Hoti, tutte le Alpi nord-albanesi e i distretti di Gjakova ed Ipek con la fertile Methohija, sino ai monti di Krusceviza.
Nella Serbia, al di là del suo antico confine con il Montenegro, gli Albanesi formano una grossa isola, che si stende e si ramifica intorno a Novi Pazar. Nell’alto bacino dell’Ibar, sino ai Kopaonik meridionali ed ai Goljak, sono in gran prevalenza gli Albanesi, che solo al di là di questi monti si mescolano con Serbi e Bulgari. Isole parecchio vaste di Serbi interrompono, invece, la continuità della popolazione albanese: subito ad oriente di Ipek, a mezzodì di Pristina e a nord di Prizren. Ma anche in tali distretti la popolazione albanese è in grandissima maggioranza e tutto quanto il Kosovano è indubbiamente abitato da Albanesi, che nella coltivazione dei terreni pianeggianti di questa regione dimostrano la loro grande capacità di lavoro e le loro notevoli possibilità di progresso.
A mezzodì di Prizren e Vranja, la commistione si ha con i Bulgari, i quali occupano alcuni tratti delle valli dei maggiori fiumi. La regione montuosa alla destra dell’alto Vardar è abitata da Albanesi, che, invece, più a sud, formano solo modeste isole nei pressi di Kruscevo, Monastir e Florina, città, quest’ultima che si trovava entro il vecchio confine greco. Entro i vecchi confini della Grecia gli Albanesi formano una grossa oasi a SE di Florina. Il numero degli Albanesi inglobati entro i vecchi confini della Grecia era assai probabile che dovesse essere di qualche centinaio di migliaia di individui».
Milone afferma di essersi attenuto, nelle indicazioni delle aree abitate da Albanesi fuori dei confini (1940) del Regno d’Albania alle affermazioni di uno studioso tedesco (Kettler), con il quale concordano diversi altri autori ( il Lejan, lo studioso russo Mirkovitch, lo slavo Bradaska, H. Kiepert e Carlo Sax), tutti studiosi della seconda metà dell’800.
Alla luce di queste autorevoli fonti Ferdinando Milone esamina le rivendicazioni albanesi alla Conferenza della Pace. Fondamentale per le rivendicazioni albanesi fu il memoriale di Turkhan Pascià, che chiedeva la restituzione all’Albania dei territori incorporati nel Montenegro e di quelli incorporati nella Serbia e nella Grecia, in conseguenza della Conferenza di Londra del 1913.
In sostanza si rivendicava la frontiera etnografica dell’Albania, la quale, dice testualmente il memoriale,
«parte dalla baia di Spitza, si dirige verso il Nord-Est includendo i clans di Tousi, Hoti, Gronda, Triepchi, la città di Podgoriza, e, seguendo la frontiera montenegrina del 1912, racchiude il distretto di Ipek, la parte orientale del distretto di Mitrovitza, i distretti di Prichitina, Guilan, Ferizovitch, Katchanik, una parte del distretto di Uskub, i distretti di Kalkandelen, di Gostivar, di Kertchovo, di Dibra, per raggiungere la montagna detta Mal’i Thate, tra i laghi di Okhrida e di Prespa.
A partire da questo punto, la frontiera segue il tracciato del 1913 fino alla cresta del Monte Gramos e continua verso il sud per terminare presso il golfo di Preveda. Tutti i territori situati all’Ovest di questa frontiera costituiscono l’Albania etnica e storica».
«Nei limiti dei territori menzionati – continua il memoriale di Turkhan Pascià, vivono circa due milioni e mezzo di Albanesi, di cui quasi un milione nei confini assegnati all’Albania dalla Conferenza di Londra del 1913 e un milione e mezzo nelle regioni cedute dalla stessa Conferenza al Montenegro, alla Serbia, alla Grecia».
Dopo questo excursus storico riporto la conclusione del professor Milone: «Certo è che il popolo albanese ha ormai diritto a veder costituita e definitivamente riconosciuta la sua individualità etnica e nazionale».
Nota: Le carte etniche e geografiche, le fotografie originali del prof. Ferdinando Milone che illustrano l’articolo, le didascalie delle carte geografiche e delle fotografie sono tratte dal testo originale e riportate integralmente.
L’autore afferma, all’inizio del saggio:
«Nella Balcania, groviglio di paesi e di genti, non sempre le forme fisiche permettono distinzione netta tra l’una e l’altra regione,né le singole nazionalità risultano così spiccate da consentire una divisione tra loro. Territori di transizione da una regione all’altra, abitati da popolazioni miste pei lunghi secoli di storia comune, dovranno necessariamente, più di una volta, essere assegnati a questo o a quello Stato politico.
Con un po’ di buona volontà, molta rettitudine e studio obiettivo dei fatti, sarà possibile, però, anche in questa intricata grande regione fisica ed umana, venire ad una sistemazione equa e duratura».
Quindi Ferdinando Milone passa a considerare il nuovo Stato albanese.
«Innanzi tutto – si chiede – esiste una nazionalità albanese? ».
Un Albanese autentico, il Ministro Ernest Koliqi - (Scutari, 20 maggio 1903 – Roma, 15 gennaio 1975) - scrittore e poeta albanese, nonché Ministro della Pubblica Istruzione in Albania dal 1939 al 1942 – nello sguardo d’insieme che apre la bella guida dell’Albania edita dalla Consociazione Turistica Italiana nel 1940 – fa due importanti affermazioni:
“le diverse vicissitudini storiche, attraverso le quali è passata la razza albanese, le hanno dato una fisionomia particolare, varia e curiosa, che la fanno apparire un vero mosaico di religioni, di usi e di costumi disparatissimi”.
E più oltre nota: ”Se domandi alla gente del contado o della città, della piana o del monte, del nord o del sud, dell’acquitrino o dell’altopiano: «Chi sei?» udrai sempre risponderti con fierezza orgogliosa: «Jam Shqipëtar», sono albanese”.
Ha ragione il Koliqi, afferma Milone: più ci fermiamo in Albania, più la studiamo ed impariamo a conoscere questa terra così interessante e questo popolo così buono e leale, e più terra e popolo ci appaiono diversi da regione a regione, da gente a gente, da fis a fis.
Carta
etnografica della Turchia in Europa. Il tratteggio orizzontale mostra
che gli Albanesi si spingevano anche a NE e a Sud fino al golfo di Arta
Dalla carta etnografica delle nazioni slave (Secondo F. Mirkovitch, Mosca 1867). Questo documento attribuisce agli Albanesi l’intero territorio fino al golfo di Patrasso.
“Carta etnografica della penisola balcanica” di Kettler – Berlino 1919. Questa carta conferma l’esistenza di una maggioranza albanese fin oltre Prishtina e di una zona mista di Albanesi e Bulgari fin quasi a Nish.
Dalla carta etnografica delle nazioni slave (Secondo F. Mirkovitch, Mosca 1867). Questo documento attribuisce agli Albanesi l’intero territorio fino al golfo di Patrasso.
“Carta etnografica della penisola balcanica” di Kettler – Berlino 1919. Questa carta conferma l’esistenza di una maggioranza albanese fin oltre Prishtina e di una zona mista di Albanesi e Bulgari fin quasi a Nish.
E continua:
«Ma se consideriamo la struttura fisica della Balcania e teniamo presente quale intricato groviglio di terreni geologici e forme del suolo, di climi e di popoli offra questa grande penisola, ci verrà fatto di scorgere una regione fisica albanese abbastanza distinta dalle altre vicine, anche se spezzettata in diverse unità minori, relativamente facili ad includersi o ad escludersi. E, assai di più, ci sarà dato di osservare come esista, senza alcun dubbio, una nazionalità albanese, che va onestamente riconosciuta e rispettata.
La frammentazione della regione fisica avrebbe potuto portare alla formazione di altrettanti regionalismi. Ed è mirabile, nonostante la dominazione turca, che non si sia spento ogni sentimento nazionale in questo popolo di pastori e di boscaioli, il quale – nei lunghi secoli del dominio straniero – non ebbe una sua storia che non fosse fatta di audaci ribellioni e di cruente repressioni. La fiamma del sentimento nazionale è rimasta viva in questo popolo tanto che, nel 1878, dopo il Congresso di Berlino, si costituiva la Lega Centrale per la difesa della nazionalità schipetara, che chiedeva l’autonomia dello Stato albanese, con capitale Okrida, contro lo smembramento del territorio albanese a favore della Serbia, del Montenegro e della Grecia».
Milone ricorda nel suo articolo che l’Italia anche nei secoli passati riconobbe la nazionalità albanese, offrendo aiuto a Skanderbeg nella sua lotta veramente epica e accogliendo i profughi albanesi nelle nostre terre, dove hanno liberamente vissuto conservando la propria religione, la propria lingua e i propri costumi, legati alla patria adottiva non meno che a quella di origine.
L’indipendenza dell’Albania chiedevano le sinistre italiane e nel 1904 si costituiva a Roma un Comitato Italo-albanese per preparare l’avvenire dell’Albania come nazione.
Poco dopo si costituiva un Consiglio Albanese d’Italia per coordinare l’azione degli albanesi italiani e collegarla a quella a quella delle altre associazioni sparse per il mondo e a quelle degli Albanesi d’Albania.
Infine, nel 1911, quando già gli Albanesi erano in rivolta, si forma a Roma un Comitato parlamentare per l’Albania, che raccoglie oltre 60 deputati di ogni colore politico; si organizza una legione per far causa comune con i fratelli dell’opposta sponda e si costituisce a Torino un Comitato di soccorso per raccogliere vesti e denaro a favore degli insorti.
Fu l’Italia a proclamare, insieme con l’Austria, la santità dei diritti degli Albanesi, nella Conferenza degli Ambasciatori tenutasi a Londra l’anno successivo, riuscendo a far trionfare, finalmente, la loro giusta causa; e l’Italia per prima si dolse se al nuovo Stato non furono, invece, riconosciute regioni che fisicamente ed etnicamente avrebbero dovuto ad esso venire assegnate.
Nel 1915, Sonnino proclamava alla Camera: «La presenza della nostra bandiera sull’opposta sponda adriatica gioverà pure a riaffermare la tradizionale politica dell’Italia nei riguardi dell’Albania, la quale rappresenta, ora come in passato, un interesse di prim’ordine per noi, in quanto la sua sorte è intimamente legata all’assetto dell’Adriatico. Ha importanza grandissima per l’Italia il mantenimento dell’indipendenza del popolo albanese, la cui spiccata e antica nazionalità fu invano, per scopi interessati, discussa e negata».
I confini
settentrionali dell’Albania: il vecchio confine è segnato con puntini,
mentre a tratti e punti è indicato il nuovo confine.
Il grande studioso passa ora a un diverso argomento: «Chi sono gli albanesi?»
Tralasciando, egli scrive, le varie ipotesi degli antropologi sulla precisa origine del popolo albanese, è certo notevole che, pure attraverso tante vicissitudini, si sia conservato un fondo etnico comune facilmente riconoscibile.
«Ciò che agli occhi nostri – scrive Milone riportando quanto affermato circa ottanta anni prima da Domenico Comparetti ( Roma 1855- Firenze 1927 – tra i massimi filologi del suo tempo, professore di letteratura greca nelle Università di Pisa, Firenze e Roma) di più di ogni altra cosa qualifica il popolo albanese è la lingua che essi parlano. Questa è che, conservandosi mirabilmente, ad onta delle cause forti e molteplici che si opponevano alla sua esistenza, ha impedito che quel popolo si perdesse, come di molti avvenne, andando a confondersi nel seno di altri popoli prevalenti su di lui. E’ l’albanese un altro esempio della lingua considerata come potente elemento conservatore di nazionalità, anche allora quando le nazioni, politicamente considerate, abbiano perduto la loro nazionalità e la loro indipendenza».
I linguisti non sono tutti d’accordo circa l’origine e l’autonomia della lingua albanese. Secondo i più deriverebbe dall’antico illirico; secondo altri sarebbe continuazione del trace e non dell’illirico. Certo è una lingua che ha subito forti influssi esterni e tra questi il maggiore è stato quello derivatole dal latino. Né mancano parole derivate dal greco antico, ma assai più frequenti sono quelle derivate dal medio greco, limitate però al dialetto tosco.
Notevole pure è l’influenza slava e quella turca, mentre non è trascurabile l’influsso delle altre lingue balcaniche.
Così conclude Milone: «La lingua albanese, pur così arricchita e modificata, conserva la sua forza e costituisce oggi il più saldo vincolo nazionale».
Il poetico lago di Okrida (Foto Milone)
Né il popolo albanese appare diviso dalla diversa religione. Soggetto alle influenze di Roma e di Bisanzio, dominato per oltre quattro secoli dall’invasore mussulmano, questo popolo appare distinto nella pratica di tre grandi culti: il cattolico, l’ortodosso e l’islamico. Ma la triplicità delle religioni non vale a dividere la sua unità. La forte maggioranza maomettana convive, in semplicità di vita e piena tolleranza, con ortodossi e cattolici.
San Paolo e i missionari latini vi importarono il Cristianesimo, che riuscirono specialmente ad introdurre nelle regioni centro-settentrionali dell’Albania. Nelle regioni centro-meridionali l’introdussero, invece, i Bizantini, che vi avevano più frequenti contatti. Allorché si determinò lo scisma religioso del secolo XIII, queste regioni vi aderirono, convertendosi all’ortodossia, mentre il settentrione si mantenne legato alla Chiesa di Roma. Nel secolo XV, con la conquista turca, si diffuse in tutta l’Albania la religione di Maometto.
E’ evidente che, a voler individuare quale sia realmente la nazione albanese, l’elemento più significativo di distinzione è quello linguistico. Del resto la fedeltà alla propria lingua, per un popolo che fu per tanti anni soggetto al dominio straniero, è indubbiamente il miglior documento del suo carattere nazionale.
Non sarà quindi difficile – una volta riconosciuta la nazione albanese dall’elemento linguistico – delimitare i confini che dovrebbe avere lo Stato albanese. Malauguratamente non riesce – afferma l’Autore – neppur facile affermare da quanti individui si parli ancora l’albanese nella regione balcanica. Il governo ottomano si accontentava di semplici stime a carattere fiscale e distingueva i sudditi per religione e non per lingua.
I frequenti gruppi di cipressi abbelliscono la capitale (Foto Milone)
Vanno, malgrado il sole ardente, chiuse nel loro velo nero, gli umili cavalli sono ancora il più usato mezzo di trasporto (Foto Milone)
Camminano questi poveri bambini per ore e ore, lentamente, cantando in coro o ascoltando i racconti della mamma (Foto Milone)
Vanno, malgrado il sole ardente, chiuse nel loro velo nero, gli umili cavalli sono ancora il più usato mezzo di trasporto (Foto Milone)
Camminano questi poveri bambini per ore e ore, lentamente, cantando in coro o ascoltando i racconti della mamma (Foto Milone)
Una pubblicazione ufficiale del Governo inglese, edita nel 1922, faceva oscillare il numero degli Albanesi tra uno e mezzo e due milioni di individui. Ma, della popolazione albanese, soltanto una metà, e forse meno, viveva entro i confini del Regno d’Albania; l’altra metà costituiva minoranze non trascurabili degli Stati confinanti: la Jugoslavia e la Grecia.
Le statistiche ufficiali jugoslave facevano ascendere a 442.000 il numero degli Albanesi inglobati entro i confini del Regno jugoslavo: secondo le fonti ufficiali jugoslave, la minoranza albanese nello Stato sarebbe stata pari ad una metà almeno della popolazione del Regno d’Albania. In realtà, gli Albanesi erano almeno il doppio della cifra denunciata, e cioè assai più di tre quarti della popolazione rimasta nel Regno d’Albania.
«Nel 1919 – scrive Milone - fu pubblicata una carta etnografica della penisola balcanica. Nel Montenegro, la regione tra Antivari e il vecchio confine è abitata da popolazione albanese pressoché compatta, la quale cingeva il lago di Scutari, occupava tutta la regione tra il Cem e la media e bassa Moraca, dove i pastori della tribù dei Klementi conducevano le pecore a svernare. Da Albanesi in massa compatta sono abitati gli alti bacini del Lim, dell’Ibar e del Drini Bianco, dove gli Albanesi si spingono sino ai monti di Krusceviza ed ai Mokra, giungendo sino ai vecchi confini fra Montenegro e Serbia.
All’Albania – secondo il Kettler – avrebbero dovuto essere riconosciuti quasi tutto il lago di Scutari e la regione di Hoti, tutte le Alpi nord-albanesi e i distretti di Gjakova ed Ipek con la fertile Methohija, sino ai monti di Krusceviza.
Nella Serbia, al di là del suo antico confine con il Montenegro, gli Albanesi formano una grossa isola, che si stende e si ramifica intorno a Novi Pazar. Nell’alto bacino dell’Ibar, sino ai Kopaonik meridionali ed ai Goljak, sono in gran prevalenza gli Albanesi, che solo al di là di questi monti si mescolano con Serbi e Bulgari. Isole parecchio vaste di Serbi interrompono, invece, la continuità della popolazione albanese: subito ad oriente di Ipek, a mezzodì di Pristina e a nord di Prizren. Ma anche in tali distretti la popolazione albanese è in grandissima maggioranza e tutto quanto il Kosovano è indubbiamente abitato da Albanesi, che nella coltivazione dei terreni pianeggianti di questa regione dimostrano la loro grande capacità di lavoro e le loro notevoli possibilità di progresso.
A mezzodì di Prizren e Vranja, la commistione si ha con i Bulgari, i quali occupano alcuni tratti delle valli dei maggiori fiumi. La regione montuosa alla destra dell’alto Vardar è abitata da Albanesi, che, invece, più a sud, formano solo modeste isole nei pressi di Kruscevo, Monastir e Florina, città, quest’ultima che si trovava entro il vecchio confine greco. Entro i vecchi confini della Grecia gli Albanesi formano una grossa oasi a SE di Florina. Il numero degli Albanesi inglobati entro i vecchi confini della Grecia era assai probabile che dovesse essere di qualche centinaio di migliaia di individui».
Nei boschi di olivi di Valona (Foto Milone)
Nel Kopliku, donne alla fontana, nei loro caratteristici costumi (Foto Milone)
Un pastore nella piana della Musacchia, col suo viso duro, ma buono, chiuso nel suo grosso mantello di lana, trascorre ore e ore, immobile, sotto la pioggia (Foto Milone)
I bovini albanesi, con la loro testa pesante (Foto Milone)
Venditore di telette, che serba la nobile austera espressione della sua razza (Foto Milone)
Nel Kopliku, donne alla fontana, nei loro caratteristici costumi (Foto Milone)
Un pastore nella piana della Musacchia, col suo viso duro, ma buono, chiuso nel suo grosso mantello di lana, trascorre ore e ore, immobile, sotto la pioggia (Foto Milone)
I bovini albanesi, con la loro testa pesante (Foto Milone)
Venditore di telette, che serba la nobile austera espressione della sua razza (Foto Milone)
Milone afferma di essersi attenuto, nelle indicazioni delle aree abitate da Albanesi fuori dei confini (1940) del Regno d’Albania alle affermazioni di uno studioso tedesco (Kettler), con il quale concordano diversi altri autori ( il Lejan, lo studioso russo Mirkovitch, lo slavo Bradaska, H. Kiepert e Carlo Sax), tutti studiosi della seconda metà dell’800.
Alla luce di queste autorevoli fonti Ferdinando Milone esamina le rivendicazioni albanesi alla Conferenza della Pace. Fondamentale per le rivendicazioni albanesi fu il memoriale di Turkhan Pascià, che chiedeva la restituzione all’Albania dei territori incorporati nel Montenegro e di quelli incorporati nella Serbia e nella Grecia, in conseguenza della Conferenza di Londra del 1913.
In sostanza si rivendicava la frontiera etnografica dell’Albania, la quale, dice testualmente il memoriale,
«parte dalla baia di Spitza, si dirige verso il Nord-Est includendo i clans di Tousi, Hoti, Gronda, Triepchi, la città di Podgoriza, e, seguendo la frontiera montenegrina del 1912, racchiude il distretto di Ipek, la parte orientale del distretto di Mitrovitza, i distretti di Prichitina, Guilan, Ferizovitch, Katchanik, una parte del distretto di Uskub, i distretti di Kalkandelen, di Gostivar, di Kertchovo, di Dibra, per raggiungere la montagna detta Mal’i Thate, tra i laghi di Okhrida e di Prespa.
A partire da questo punto, la frontiera segue il tracciato del 1913 fino alla cresta del Monte Gramos e continua verso il sud per terminare presso il golfo di Preveda. Tutti i territori situati all’Ovest di questa frontiera costituiscono l’Albania etnica e storica».
«Nei limiti dei territori menzionati – continua il memoriale di Turkhan Pascià, vivono circa due milioni e mezzo di Albanesi, di cui quasi un milione nei confini assegnati all’Albania dalla Conferenza di Londra del 1913 e un milione e mezzo nelle regioni cedute dalla stessa Conferenza al Montenegro, alla Serbia, alla Grecia».
Dopo questo excursus storico riporto la conclusione del professor Milone: «Certo è che il popolo albanese ha ormai diritto a veder costituita e definitivamente riconosciuta la sua individualità etnica e nazionale».
Nota: Le carte etniche e geografiche, le fotografie originali del prof. Ferdinando Milone che illustrano l’articolo, le didascalie delle carte geografiche e delle fotografie sono tratte dal testo originale e riportate integralmente.
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